Smergia della valle del Niceto
Raccolta solitamente tra luglio e agosto[6], è caratterizzata dalla pelle liscia[1], la polpa bianca[7], il profumo all'olfatto e dolcezza al gusto[1]. Inoltre, «le caratteristiche pedo-climatiche e colturali tipiche dell'aria di diffusione, conferiscono alla” Sbergia “delle peculiarità organolettiche non riscontrabili nelle produzioni di altre località»[4]. Tuttavia il prodotto si deteriora rapidamente e gli alberi che lo fruttificano sono molto esigenti in fatto di difesa parassitaria, potatura e sostegno rami[8]. Attualmente la Sbergia viene prodotta su una superficie stimata tra i 75 e i 90 ettari[3][4] con una produzione media globale annua di circa 8000 tonnellate[3]. Il mercato di commercializzazione è limitato alle provincie di Messina, Catania e Reggio Calabria[3] e, a causa delle modeste dimensioni delle superfici coltivate, le produzioni non riescono a soddisfare le richieste di mercato[6]. Il ricavo lordo si aggira tra 800.000 e 1,5 milioni di euro su tutto il comprensorio di diffusione[8].
Secondo la tradizione, la Sbergia fu introdotta per la prima volta dalle popolazioni arabe che si stanziarono nella zona a partire dal 965, come risultato di alcuni innesti sperimentali[9]. Lo stesso termine Sbergia deriverebbe dall'arabo al-berchiga, trasformato poi nel francese alberges durante la dominazione angioina, fino ad approdare, dopo varie modificazioni linguistiche, all'attuale terminologia. La coltivazione della Smergia nella valle del Niceto è accertata con prove documentali già a partire dal XVI secolo, evidenziata da Antonino Venuti nel suo trattato De agricultura opusculum del 1516[3].